I no-vax sono di destra o di sinistra? Nessuno dei due: sono anti-sistema
Non è il livello di istruzione il miglior predittore dell'esitazione vaccinale, ma il radicalismo politico e la sfiducia istituzionale
Nel mondo dell’antivaccinismo le leggi del complottismo, già poche e precarie, non valgono. Le complicazioni incominciano subito dalla delimitazione semantica dell’espressione “antivaccinismo”. Il campo dell’esitazione vaccinale comprende un ampio spettro di sfumature comportamentali, che vanno dalle remore su un singolo vaccino al rifiuto ideologico del vaccino come strumento di prevenzione dalle malattie. Nella stessa definizione convivono, dunque, sia i riluttanti e gli indecisi sia il movimento organizzato no-vax e i sostenitori delle teorie del complotto.
È un calderone disomogeneo di razionalità scettica e di irrazionalità paranoica, di preoccupazioni ancorate a dubbi legittimi e di paure immaginarie fomentate da una propaganda in malafede. Per questa ragione, le ricerche sull’argomento condotte con criterio, come questa a livello globale di Ipsos, si premurano di scindere nei risultati gli incerti e lo zoccolo duro antivaccinista, perché diverse sono le motivazioni che inducono le due categorie dell’esitazione vaccinale a diffidare dell’inoculazione di un preparato nel proprio corpo.
La distinzione permette anche di monitorare con maggiore cognizione di causa le oscillazioni dell’opinione pubblica. Gli esitanti vaccinali non sono infatti un monolite impermeabile alle sollecitazioni esterne, ma mostrano una grande fluidità negli atteggiamenti. Possono, insomma, cambiare idea. Fra l’agosto 2020 e il febbraio 2021 in Italia l’area dei fortemente contrari al vaccino contro il Covid-19 si è, ad esempio, dimezzata, passando dal 17% all’8%. Ragionando in questi termini, si riesce poi a far affiorare la variegata gamma di sospetti all’interno dell’esitazione vaccinale e, soprattutto, la prevalenza di perplessità equilibrate, ragionevoli, ben distanti dai luoghi comuni sull’antivaccinismo.
Quasi due terzi degli esitanti vaccinali in Italia è preoccupato che il vaccino contro il Covid-19 sia stato prodotto troppo velocemente, saltando le necessarie tappe di verifica sulla sicurezza, oppure che generi effetti avversi, due motivazioni piuttosto legate l’una all’altra. Solo il 10% sceglie come opzione il rifiuto della vaccinazione in generale e solo il 9% minimizza la possibilità di contrarre la malattia.
La maggioranza degli esitanti vaccinali appare perciò dialogante, ricettiva, disponibile al confronto, e non coincide affatto con gli stereotipi con cui si è soliti dipingerli, a partire dal livello di istruzione. Se per molti temi di salute pubblica, a un maggiore livello di istruzione corrisponde una maggiore adesione alle raccomandazioni delle autorità, nel caso dell’antivaccinismo la curva si piega a “U”: la percentuale di no-vax è più alta fra chi ha interrotto precocemente gli studi, si abbassa poi fra i diplomati per crescere infine fra i laureati.
In questo sondaggio di Youtrend/Quorum per SkyTg24 del dicembre scorso scorgiamo la punta di tale fenomeno: i laureati sono i più netti nelle loro opinioni e sopravanzano i diplomati sia fra chi intende sicuramente vaccinarsi sia fra chi non intende farlo.
Il titolo di studio non è quindi un indicatore attendibile degli umori antivaccinisti, che anzi sono documentati fra gli stessi operatori sanitari in tassi persino superiori a quelli riscontrati nel resto della popolazione. Un paradosso solo apparente, dal momento che la controinformazione no-vax ha più probabilità di essere intercettata proprio da chi si interessa per lavoro di salute pubblica e si insinua addirittura nei conflitti fra medici e infermieri. Un’indagine fra gli infermieri della Bretagna ha infatti appurato che, in taluni casi, questi si approprierebbero di teorie in competizione con quelle della medicina convenzionale per riaffermare una competenza e un riconoscimento sociale ed economico non sufficientemente valorizzati.
Il ricercatore francese Jocelyn Raude ha individuato tre tipologie di attori dediti alla propaganda antivaccinista: la nebulosa della medicina alternativa, delle pratiche olistiche e omeopatiche; il complottismo online che sfrutta il “mercato cognitivo” dell’antivaccinismo come strumento di monetizzazione; e i poli opposti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra libertaria, che giudicano la vaccinazione un’ingerenza dello Stato nella libertà del singolo, se non una vera e propria cospirazione.
Per capire quale ruolo giochi la politica, possiamo fare riferimento a uno studio sulla propensione a ricevere un eventuale vaccino contro il Covid-19, eseguito in Francia nell’aprile 2020, quando l’angoscia per il nuovo virus era al culmine e le interferenze politiche nel dibattito scientifico al minimo. Poiché, all’epoca, nessun politico di spicco aveva messo in dubbio la sicurezza o l’efficacia del futuro vaccino, gli estensori non si aspettavano discrepanze significative fra gli elettori dei vari partiti, eppure i risultati sono stati sorprendenti. La probabilità di rifiutare il vaccino era molto più consistente fra gli intervistati vicini ai partiti radicali, in particolare quelli di estrema destra, fra chi non si riconosceva in nessun partito e fra gli astenuti alle ultime elezioni presidenziali.
Come ha osservato anche il sociologo Charles McCoy, che ha sondato le credenze no-vax tra conservatori e liberal americani, il radicalismo politico e i sentimenti antipolitici e anti-establishment sono fra i più utili predittori dell’antivaccinismo. Più si hanno convinzioni politiche estreme, più è probabile che si rifiuti il vaccino. Ma non solo: più si percepiscono il potere, il governo, le istituzioni come una minaccia, più si tenderà a sospettare della vaccinazione.
Il legame tra la fiducia nelle istituzioni politiche e in quelle scientifiche, che sono preposte a promuovere le campagne vaccinali, è d’altronde accertato da molti studi. Sono facce di una medesima medaglia, volti dello stesso populismo anti-establishment che diffida in egual misura di politica e scienza.
La politicizzazione del vaccino percorre, tuttavia, strade controintuitive. Lo si nota, ad esempio, consultando i numeri degli esitanti vaccinali italiani scorporati per partito politico. A dicembre, quando era ancora in carica il governo Conte II, erano soprattutto gli elettori che si identificavano nelle opposizioni, Lega e Fratelli d’Italia, a non guardare con favore al vaccino contro il Covid-19, nonostante sia stato il Movimento 5 Stelle, negli ultimi anni, la forza politica più battagliera sugli obblighi vaccinali. L’assorbimento del M5S nell’establishment di governo ha perciò attenuato la sfiducia dei suoi elettori nei confronti delle istituzioni politiche e scientifiche e ha, di conseguenza, invertito anche l’atteggiamento verso la vaccinazione.
Ancora più clamoroso è il caso americano. La fiducia nel vaccino contro il Covid-19 compie un saliscendi che rispecchia non le novità delle pubblicazioni scientifiche, ma le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti. Nel mese di maggio, democratici e indipendenti sono a favore della vaccinazione, mentre i repubblicani più tiepidi, visto che, secondo Donald Trump, il virus non costituisce un grave pericolo per la salute pubblica. A ottobre, poco prima delle presidenziali, i repubblicani scavalcano i democratici nella classifica dei pro-vax: il presidente promette un vaccino a breve per tutti, mentre Kamala Harris dichiara al contrario di non fidarsi delle garanzie dell’amministrazione sulla sicurezza del vaccino. A dicembre, con l’approvazione del primo vaccino e la vittoria di Biden ormai in cassaforte, i democratici ritornano ai livelli di adesione dell’estate, mentre i repubblicani precipitano quasi venti punti percentuali più in basso, poco sopra il 60%. Attualmente il gruppo demografico più ostile al vaccino contro il Covid-19 negli Stati Uniti è proprio rappresentato dai bianchi repubblicani, il segmento più fedele all’ex presidente.
La fiducia nelle autorità è dunque imprescindibile per il successo di una campagna vaccinale e per impedire la trasformazione del vaccino in un feticcio ideologico. Se però i leader politici ostentano ambivalenza o scetticismo, se la comunicazione giornalistica confonde, con il sensazionalismo o dando vita a un dibattito artificiale nella scienza, anche laddove non esiste, come accaduto in Italia o in Francia, e se i social network non troncano la proliferazione della disinformazione, allora gli esitanti vaccinali si radicalizzano, scivolano tra gli estremisti politici e si fanno sedurre dalle sirene delle teorie del complotto, in un circolo vizioso in cui estremismo, complottismo e antivaccinismo si influenzano a vicenda.
Si inizia così a credere che giornalisti, scienziati e governanti siano coinvolti in una cospirazione per insabbiare importanti informazioni sull’epidemia di coronavirus, come pensa il 16% dei britannici, o che il governo sia in combutta con le case farmaceutiche per nascondere la realtà sulla dannosità dei vaccini, che è l’opinione del 43% dei francesi, o che Bill Gates abbia intenzione di impiantare un microchip nei vaccinati, un pericolo concreto per quasi la metà dei telespettatori di Fox News negli Stati Uniti.
Un caso di scuola sulla correlazione tra sfiducia istituzionale e antivaccinismo è quello dell’Afghanistan e del Pakistan. Nella primavera del 2011 la Central Intelligence Agency elabora un piano fantasioso per catturare Osama Bin Laden e inscena una finta campagna di vaccinazione contro l’epatite B ad Abbottabad, città pakistana ai piedi dell'Himalaya, dove gli americani sospettano si nasconda il leader di Al-Qaeda. L’operazione è un mezzo fiasco e, una volta venuta alla luce, provoca il crollo della fiducia della popolazione nelle autorità mediche, l’insorgere di teorie del complotto e, per effetto, la diffusione endemica della poliomielite nella regione. Nelle aree al confine con l’Afghanistan, roccaforti talebane, i medici che si occupano delle vaccinazioni sono presi di mira e uccisi, le cliniche date alle fiamme. Gli attacchi si estendono a Karachi e Peshawar, finché le autorità pakistane, l’Oms, il Rotary International e l’Unicef non decidono di interrompere la campagna vaccinale. Gli studiosi osservano che i tassi di vaccinazione calano all’aumentare del sostegno ai gruppi estremisti. Per questo, le organizzazioni internazionali cambiano strategia. Intuiscono che è necessario collaborare con le autorità locali, i capi tribù, i leader religiosi, gli stessi medici talebani in alcuni casi, svuotando le vaccinazioni del loro contenuto politico.
Non è un esempio lontano dal nostro mondo. Più vicino a noi, la Francia è stata per decennni un Paese orgogliosamente pro-vaccino, per ragioni storiche e culturali, non ultimo il fatto di aver dato i natali a Louis Pasteur, chimico e microbiologo padre del vaccino antirabbico.
Le prime crepe, per il ricercatore Jocelyn Raude, si aprono nel 1998, quando l’allora ministro della sanità, Bernard Kouchner, sospende la vaccinazione antiepatite B per gli studenti delle scuole medie, a causa di un presunto legame, poi smentito, con la sclerosi multipla. La Francia, rimarca Raude, è l’unico Paese in cui si sviluppa la controversia.
La vera svolta arriva nel 2009-10, in corrispondenza dell’epidemia di influenza H1N1, a cui il ministro della salute, Roselyne Bachelot, risponde ordinando 94 milioni di dosi di vaccino dalle case farmaceutiche e spendendo centinaia di milioni di euro. Le fiale restano, però, in gran parte nei frigoriferi, inutilizzate, e il principio di precauzione adottato da Bachelot le si ritorce contro, soprattutto quando si scopre alcuni suoi consiglieri hanno legami con le industrie farmaceutiche da cui lo Stato si è approvvigionato. In breve tempo, nella polemica politica sui conflitti di interesse si innestano le teorie del complotto, che causano un crollo della fiducia generale nella vaccinazione. Con il 40% di esitanti vaccinali, la Francia diventa così uno dei Paesi più ostili ai vaccini in Europa e nel mondo.
Ma questo non sarebbe potuto accadere se, nel frattempo, anche la fiducia nelle istituzioni non avesse seguito un’analoga parabola discendente, come si evince da uno studio del ricercatore Antoine Bristielle per la Fondazione Jean Jaurès. Solo il 29% dei francesi si fida di deputati e senatori, solo il 36% della presidenza della Repubblica e appena l’11% dei partiti politici. Difatti, è proprio nei nuovi partiti anti-sistema di Jean-Luc Mélenchon, Marine Le Pen, François Asselineau e Nicolas Dupont-Aignan che si concentra la maggior parte degli esitanti vaccinali.
L’antivaccinismo non è insomma tanto questione di destra o di sinistra, quanto di sfiducia nell’establishment politico e scientifico. Ed è proprio approfittando di questa sfiducia, purtroppo talora ben riposta, come abbiamo visto, che hanno buon gioco nel propagarsi le teorie del complotto.
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