Negazionisti del colera: rivolte popolari tra Ottocento e Novecento
Dall'Italia alla Russia, i provvedimenti igienici contro le epidemie di colera provocarono malcontento e teorie del complotto
"Il virus non esiste", "la pandemia è un imbroglio", "c'è una dittatura sanitaria", "hanno ucciso i malati negli ospedali", "vogliono sterminare la popolazione con i vaccini anti-Covid": il negazionismo di oggi ricorre con grandi analogie nelle teorie del complotto di ieri, fra Ottocento e inizio Novecento, quando il colera flagellò l'Europa a ondate. Stesse paure, stessa ricerca del capro espiatorio, stessi meccanismi mentali. La psicologia dell'uomo non cambia, pur cambiando i tempi e i contesti.
Nella prima grande ondata di colera, fra il 1831 e il 1832, le teorie del complotto gridate dai rivoltosi si ripetono uguali dalle steppe dell'Asia centrale ai quartieri di New York: le élite - si dice - vogliono uccidere il popolo, mentre medici, infermieri, forze dell'ordine e rappresentanti del governo sono complici del massacro di massa. Sono rare le rappresaglie contro minoranze etniche e religiose, diversamente da quanto era accaduto durante la peste medievale. Il nemico sono ora i potenti e la scienza.
A Parigi la rivolta è guidata dalle categorie economiche più penalizzate dalle restrizioni sanitarie. Rigattieri, netturbini, ambulanti prendono di mira i medici, accusandoli di avvelenare le persone, e affogano un infermiere nella Senna.
In Inghilterra e Scozia le folle si avventano anche contro le scuole di anatomia, cui i medici fornirebbero i cadaveri degli assassinati. È infatti recente lo scandalo di Burke e Hare, che nel 1828 a Edimburgo avevano ucciso sedici persone per venderne i corpi all'anatomista Knox per le sue lezioni. In Irlanda gira, invece, voce che i medici ricevano un compenso per ogni morto di colera (infamia che abbiamo sentito anche in questi mesi).
In Sicilia il morbo arriva nel 1837. I commerci si fermano, l'economia crolla, cresce il malcontento. A Siracusa le misure anti-contagio arrivano prima della comparsa della malattia. Per molti, anche fra i più istruiti, è la prova che l'epidemia non esiste, che è solo un pretesto per preparare uno sterminio su larga scala. Un noto avvocato del luogo, Mario Adorno, stila un proclama complottista per sobillare una rivolta antiborbonica. La repressione del re è durissima: in 123, tra cui lo stesso Adorno, sono condannati a morte.
Nel 1892 il colera si ripresenta vigoroso in Russia. Le autorità zariste chiudono i negozi, vietano i mercati, impongono quarantene forzate e il ricovero coatto in ospedale servendosi della polizia. Per la popolazione in gran parte analfabeta gli avvisi affissi nei luoghi pubblici rappresentano istruzioni incomprensibili. La realtà, nel frattempo, è fatta di malati deceduti che non sono nemmeno restituiti alle famiglie, ma seppelliti in fosse comuni. Risorgono le teorie del complotto sull'avvelenamento di massa. Così, a Saratov una folla inferocita di commercianti, artigiani e negozianti, privati del loro reddito, si lancia in una caccia all'uomo contro chiunque indossi una divisa o un camice bianco. I rivoltosi lapidano i medici, assaltano l'ospedale e, dopo aver liberato i degenti, lo danno alle fiamme. I tumulti si ripetono ad Astrakhan e presto si estendono a tutta la Russia, fino a Odessa.
Nel 1910 anche l'Italia torna a essere colpita dal colera, soprattutto al Sud. Le autorità italiane hanno imparato la lezione delle precedenti epidemie, evitano la controproducente militarizzazione dei focolai e si affidano alla persuasione sanitaria, convincendo la popolazione ad accettare gli inevitabili provvedimenti igienici. Ciononostante, si contano almeno ventisei rivolte popolari, ma di altre sicuramente verificatesi non abbiamo informazioni a causa della censura del governo Giolitti, preoccupato che le notizie di assalti contro ospedali e personale medico nuocessero alla reputazione del Paese.
In Puglia, le restrizioni impoveriscono un'agricoltura e una pesca già in recessione. A dare il colpo di grazia è il divieto di vendita dei frutti di mare, potenziali incubatori del morbo. A Massafra sono le donne a guidare la rivolta: si riuniscono davanti al municipio e poi marciano contro il lazzaretto, liberano gli ammalati e li riportano a casa, per evitare che i dottori gli inoculino il veleno.
A Verbicaro, in Calabria, nel 1911, i morti di colera sono centinaia su una popolazione di appena 6mila abitanti. In 1200 si armano urlando "morte al sindaco", ritenuto responsabile, insieme ai "galantuomini" del paese, di aver diluito una "polverella" nelle acque per uccidere tutti. Il primo a essere massacrato è l'impiegato responsabile del censimento: sarebbe stato lui a scegliere chi doveva morire. Lo colpiscono con attrezzi agricoli e una pistola, quindi uomini e donne insieme lo fanno a pezzi. Conquistata la cittadina, i rivoltosi tagliano i fili del telegrafo, per impedire che sia dato l'allarme. Quando le truppe arrivano, metà degli abitanti si è già nascosta sulle montagne, temendo che siano arrivate per avvelenarle.
I corrispondenti italiani ed esteri riferiscono di altri episodi simili in Sicilia e Abruzzo. A Nettuno, nel Lazio, il malcontento è provocato dalla chiusura delle stazioni termali, motore economico del luogo. Una folla si aggrega per impedire che un medico della Croce Rossa prelevi un bimbo ammalato, accusano il dottore di essere un assassino e alla fine lo sequestrano. Giungono i carabinieri, ma la situazione degenera. Il medico è picchiato selvaggiamente, i carabinieri sparano e feriscono a morte un diciassettenne, la folla si accresce, fino a cinquecento persone, e mette in subbuglio la città. Devono intervenire duecento bersaglieri per ristabilire l'ordine.
A Segni si verifica la rivolta più partecipata. Tremila persone sopraffanno l'esigua guarnigione di carabinieri e conquistano il municipio. Una donna afferra la bandiera dal pennone e incita alla violenza: "A morte i dottori e le infermiere!" Il lazzaretto è preso d'assalto, i pazienti liberati e portati in processione fino alle loro case.
Per i commentatori dell'epoca sono l'ignoranza e la superstizione la causa delle rivolte del colera. In Italia i giornalisti del "Corriere della Sera" insistono sulla matrice meridionale dei disordini: «La popolazione povera di tanta bella parte d’Italia ci appare d’un tratto più diversa da noi che se fosse di un’altra razza lontana o di un’altra lontana epoca, la sua vita, la sua psicologia non ci appartengono più», scrive Luigi Barzini. Eppure anche al Nord sono riportate notizie di rivolte, di cui una certa al lazzaretto di Venezia.
I tumulti erano, però, l'espressione della paura e della sfiducia nei confronti della professione medica e dello Stato. In molti casi, come in Russia, le misure erano applicate in modo autoritario e crudele, senza adeguate spiegazioni. Il morbo si accaniva inoltre sui più poveri, che vivevano in condizioni igieniche e abitative precarie, e questo moltiplicava il panico e i sospetti.
Anche all'epoca, per fortuna, qualcuno comprese che non sempre complottismo e ignoranza viaggiavano appaiate. «La folla tumultuante di Verbicaro, spiegando il colera con la ‘polveretta’ sparsa dal ‘Governo’ e dai ‘galantuomini’ per impedire alla povera gente di moltiplicarsi oltre il necessario, ha dato una forma superstiziosa e barbarica a quel sentimento di sfiducia e di avversione verso i ‘galantuomini’ e verso il ‘Governo’, che è il permanente stato d’animo di tutte le folle meridionali. Ma la barbaria superstiziosa dell’espressione non deve farci disconoscere la giustizia del sentimento fondamentale», osservava correttamente Gaetano Salvemini.
Per approfondire:
Samuel K. Cohn, Epidemics: Hate and Compassion from the Plague of Athens to AIDS, Oxford 2018.
Conferenze e pubblicazioni di Richard J. Evans sulle rivolte del colera.
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