Olanda paranoica
Sul fuoco delle peggiori rivolte degli ultimi quarant'anni, soffiano le teorie del complotto dell'estrema destra di Thierry Baudet, il nazionalista bianco che vuole importare in Europa il trumpismo
Travolta dalla variante inglese del Covid-19, che arresta la decrescita dei contagi nonostante il lockdown proclamato a dicembre, il 23 gennaio l’Olanda introduce il coprifuoco su tutto il territorio nazionale. È una svolta simbolica, non solo perché è la prima volta che viene imposta una misura così restrittiva alla circolazione delle persone dalla Seconda guerra mondiale, ma soprattutto perché è un’inversione di tendenza rispetto all’approccio morbido con cui il governo di centrodestra di Mark Rutte ha affrontato la pandemia. L’uso della mascherina nei luoghi pubblici è infatti rimasto facoltativo sino al 14 ottobre ed era anzi sconsigliato dalle autorità, perché avrebbe indotto un falso senso di sicurezza, e, fino al 30 novembre, ai positivi asintomatici era appena raccomandata una quarantena di tre giorni dopo il tampone, nonostante gli studi epidemiologici predicassero ormai da mesi maggiore prudenza.
Alla dichiarazione del coprifuoco seguono, però, in tutto il Paese, tre giorni di proteste violente, subito descritte dai funzionari di polizia come “la peggiore rivolta degli ultimi quarant’anni”. Da Amsterdam a Eindhoven, le auto sono incendiate, i negozi saccheggiati, gli agenti bersagliati da pietre e fuochi d’artificio. Tutto comincia in un piccolo centro dell’industria ittica, Urk, dove un gruppo di giovani prima dà fuoco a un tendone dove si eseguono test per il Covid-19 e poi aggredisce con spray al peperoncino i giornalisti di Nos, la televisione pubblica. La scelta dell’obiettivo è significativa: circa un mese e mezzo dopo, la notte del 3 marzo, un altro hub per i tamponi, un drive-through a Bovenkarspel, a nord di Amsterdam, è colpito da una bomba artigianale.
I due principali partiti dell’estrema destra, il Partito per la Libertà (PVV) di Geert Wilders e il Forum per la Democrazia (FvD) di Thierry Baudet, addossano agli immigrati turchi la responsabilità delle rivolte. Ma negli scontri di strada la presenza delle seconde generazioni è limitata. La composizione sociale prevalente è inedita e sorprendente: i protagonisti sono estremisti di destra, hooligans e teorici della cospirazione.
È dalla settimana precedente, dal 17 gennaio, che nella piazza dei musei di Amsterdam convergono alcune migliaia di persone per protestare contro le restrizioni anticontagio. A chiamarle a raccolta, con l’appello a bere un “caffè dimostrativo” (i bar sono chiusi per decreto), è Michiel Reijinga, un imprenditore nel settore degli eventi, tramite la pagina Facebook "I Paesi Bassi nella Resistenza, via questo governo" (15mila follower). A lui si associa il gruppo di negazionisti pandemici Viruswaarheid (Verità sul virus), fondato da un maestro di danza, Willem Engel, che paragona l’obbligo di mascherina all’umiliazione della stella gialla inflitta dai nazisti agli ebrei e il distanziamento fisico nelle scuole al manuale della gioventù hitleriana. La Viruswaarheid organizza manifestazioni contro il lockdown abbracciando i passanti, sostiene la correlazione tra il virus e le antenne del 5G, minaccia i medici di base scrivendo lettere ai loro indirizzi privati per dissuaderli dal partecipare alla campagna vaccinale e, infine, riesce anche a impugnare in tribunale la disposizione del coprifuoco, costringendo il governo a riapprovarla con un altro iter legislativo.
Nonostante i divieti, le proteste si susseguono nei mesi seguenti, nella capitale e in altre città, seppur senza i toni parossistici di gennaio. La repressione delle forze dell’ordine è però durissima e brutale: i dimostranti sono dispersi con i cannoni ad acqua, caricati da agenti a cavallo, manganellati, attaccati dai cani, e gli arresti eseguiti sono centinaia (cinquantotto solo nella giornata del 20 marzo). Al giornalista olandese Rudy Bouma un funzionario di polizia racconta che i teorici della cospirazione sono considerati avversari più pericolosi e imprevedibili degli ultras del calcio: con questi ultimi si instaura quasi un rapporto di rispetto reciproco, ma con i primi la distanza è incolmabile, perché si percepiscono cavalieri in armatura scintillante, eroi della resistenza contro il male.
Proprio la parola “resistenza”, insieme alla metafora degli arresti domiciliari, era stata evocata per contestare il coprifuoco dal Forum per la Democrazia, in un tweet pubblicato nel secondo giorno delle rivolte di gennaio. Una scelta lessicale disapprovata dalle altre forze politiche, che hanno accusato Baudet di soffiare sul fuoco del malcontento.
A dispetto dell’immagine idealizzata di frugalità ed efficienza, in Olanda le ragioni del malessere sono infatti molte, come illustra Laura Basu, ricercatrice all’Università di Utrecht. Alla privatizzazione della sanità e alla deregolamentazione del lavoro e del mercato immobiliare negli anni Ottanta si è aggiunta, dopo la crisi finanziaria del 2008, una severa politica di austerità che ha falcidiato tutto il settore pubblico. All’appuntamento con la pandemia il Paese si è così presentato con i prezzi delle case inaccessibili a metà della popolazione, con un milione di persone sotto la soglia di povertà, con il 30% dei lavoratori in condizione di precarietà, e con i posti in terapia intensiva dimezzati negli ultimi dieci anni, tanto da implorare, a più riprese, l’assistenza sanitaria della Germania. Secondo il consulente politico Sybren Kooistra, la stessa decisione di ritardare il lockdown si spiega con il tentativo di Rutte di non esasperare un elettorato che, dopo gli omicidi del populista Pim Fortuyn per mano di un ambientalista nel 2002 e del regista Theo van Gogh da parte di un fondamentalista islamico nel 2004, è sempre più ricettivo ai richiami dell’estrema destra.
Alle elezioni del 17 marzo, indette dopo le dimissioni di Rutte in seguito allo scandalo delle ventimila famiglie perseguitate dal fisco solo per via del loro cognome straniero, l’estrema destra ha raccolto il più alto numero di seggi di sempre. Diciassette sono andati a Wilders, otto a Baudet e tre a JA21. Rutte non ha escluso di coinvolgere nei colloqui per la formazione del nuovo governo proprio JA21. Il partito, scissosi dal Forum per la Democrazia nel dicembre scorso, intende limitare l’influenza europea sulla politica nazionale, indire un referendum sull’euro, restringere i requisiti per l’immigrazione, ridiscutere le leggi su aborto ed eutanasia, ridurre il ruolo dello Stato nell’economia e proporre “l’adattamento” ai cambiamenti climatici, senza combatterli.
La disponibilità del centrodestra olandese a rompere il tabù dell’alleanza con l’estrema destra è solo l’ultima tappa di anni di legittimazione mediatica. Uno studio dell’Università di Amsterdam è persino riuscito a stabilire una relazione di ordine causale fra la visibilità di Wilders sui mezzi di informazione e i suoi risultati elettorali. È un circolo vizioso in cui crescita nei sondaggi ed esposizione mediatica si alimentano a vicenda, ed è un gioco che conviene a entrambi gli attori, anche ai media, che grazie alle provocazioni dell’estrema destra guadagnano audience. Razzismo, xenofobia, nazionalismo e teorie del complotto sono così state normalizzate nel dibattito pubblico olandese.
La sovrarappresentazione dell’estrema destra sui media si è accentuata con l’esplosione del fenomeno Thierry Baudet. A differenza di Wilders, che declina l’invito a comparire in televisione, scatenando un cortocircuito per cui i giornalisti parlano più di lui che con lui, Baudet ama partecipare ai talk show, dove si lascia andare ad affermazioni e gesti eclatanti. A gennaio, durante una trasmissione, ha sostenuto che SARS-CoV-2 esistesse già in Congo nel 1982, e né i due presentatori né gli altri ospiti, tra una microbiologa, lo hanno contraddetto. Una situazione non infrequente.
La stampa olandese sembra affascinata da Baudet, un estremista di destra sui generis, giovane (appena trentottenne), colto, di bell’aspetto, che in parlamento cita Cicerone in latino, nel suo ufficio di deputato suona Schubert e Brahms al pianoforte tra una seduta e l’altra e in pubblico lamenta il decadimento estetico degli stili architettonici della modernità.
Se Wilders suscita disprezzo tra i ceti istruiti per il suo populismo grossolano e per la sua estraneità al sistema politico (è d’altronde uno dei pochi politici olandesi senza laurea), Baudet è, a tutti gli effetti, un esponente dell’élite. Cresciuto in una famiglia ricca, è stato ricercatore all’Università di Leida e, nel 2015, ha fondato il think tank Forum per la Democrazia, convertito in partito appena sei mesi prima delle elezioni del 2017, dove ha conquistato inaspettatamente, nel pluriframmentato panorama politico olandese, l’1,8% dei voti, pari a due seggi. Nel 2019, alle elezioni provinciali, che nei Paesi Bassi valgono anche per la camera alta del parlamento, ha ottenuto dodici seggi su settantacinque, come il VVD di Rutte.
Pur appartenendo entrambi alla medesima area politica, Wilders e Baudet si discostano, tuttavia, in diversi aspetti, in primis nell’organizzazione partitica. Il PVV è formalmente un’associazione chiusa alle iscrizioni: Wilders ne è l’unico membro, il che ne fa il padrone assoluto, a partire dalla composizione delle liste elettorali. Al contrario, Baudet ha l’ambizione di creare un movimento di massa (nel 2019 il Fvd aveva superato i trentamila iscritti, più della maggior parte dei partiti centristi olandese) in una strategia di lungo termine che ruota attorno a una forte ala giovanile (il 45% dei suoi elettori ha meno di 35 anni).
A separare Wilders e Baudet è poi la visione ideologica. Il PVV ha costruito le sue fortune sull’islamofobia, con un programma di “welfare-sciovinismo” che mira a difendere il sistema sociale e le libertà civili olandesi dalla religione islamica, equiparata a una forma di totalitarismo. La proposta politica risulta attrattiva per i ceti bassi e poco istruiti, in un Paese dove circa un terzo della popolazione è economicamente di sinistra ma culturalmente conservatore. A Baudet, invece, non interessa tutelare la classe lavoratrice: vuole facilitare i licenziamenti, abbandonare l’edilizia popolare, ridurre i fondi per sanità e assistenza sociale, abolire la tassa di successione, smantellare insomma tutto il sistema di sussidi che avrebbe reso l’Olanda “una società indolente”. Alla classe media di centrodestra, che non considererebbe mai l’opzione di affidarsi a Wilders, il Forum per la Democrazia offre un progetto neoliberista e dichiaratamente autoritario, razzista, omofobo e sessista, ma esposto con il linguaggio forbito delle élite.
Attingendo dai suoi studi classici, Baudet ha coniato un termine di stampo grecista per contrassegnare il nemico del suo nazionalismo paranoico: oikofobia, letteralmente “paura della casa”. È quella che, secondo lui, proverebbe la società olandese, mortificata dai sensi di colpa del colonialismo, dal marxismo culturale, dal politicamente corretto. «L'Occidente – dice Baudet – soffre di un disturbo autoimmune», che ne ha debilitato l’organismo, rendendolo vulnerabile alla stessa minaccia multiculturalista che causò il decadimento biologico dell’Impero Romano, secondo un parallelismo storico molto in voga fra la destra suprematista. Baudet, che ha una concezione vitalistica della politica ispirata ai fascismi del primo dopoguerra, si sente investito del compito di invertire il declino spengleriano del “mondo boreale”, eufemismo neonazista per “ariano”, e la “diluizione omeopatica” degli olandesi nei popoli immigrati. Il riferimento è al mito della grande sostituzione, la teoria del complotto sul rimpiazzamento della popolazione europea con gli immigrati che sarebbe ordito da organismi sovranazionali, come l’Unione Europea, con la complicità delle sinistre antirazziste.
Il FvD chiede quindi di chiudere le frontiere e di “incoraggiare la remigrazione”, la deportazione degli immigrati che “non si adattano alla nostra civiltà occidentale”, così da preservare l’omogeneità culturale ed etnica della nazione, precondizione - per Baudet – perché la democrazia possa sopravvivere. Un obiettivo perseguibile solo da un esecutivo rafforzato, con l’elezione diretta del primo ministro, e da meccanismi plebiscitari che subentrerebbero ai pesi e contrappesi degli ordinamenti liberali, dalla magistratura alla stampa, indeboliti sul modello ungherese.
Influenzato dalla Nouvelle Droite francese, Baudet flirta apertamente anche con il separatismo e il suprematismo bianco americano: ha incontrato Jared Taylor, intellettuale dell’Alt-Right che mette in guardia dall’estinzione della razza bianca, e ha ritwittato un’immagine dei suprematisti olandesi di Erkenbrand che lo ritrae con le fattezze del meme Pepe la Rana.
Nel novembre scorso, poi, il Forum per la Democrazia è stato investito da uno scandalo scoppiato nell’organizzazione giovanile del partito. Diversi suoi membri, tra cui il presidente Freek Jansen, sono stati sorpresi a condividere dichiarazioni razziste e antisemite: “gli ebrei hanno reti internazionali di pedofili e aiutano le donne a fare pornografia in massa” e “il nazismo aveva la formula economica migliore di sempre” sono solo alcune delle frasi pubblicate nelle chat. Baudet è stato accusato da molti colleghi di partito di non aver preso le distanze dai responsabili e, anzi, di aver espulso chi li denunciava. Durante una cena, alla senatrice Nicki Pouw-Verweij, che aveva posto la questione dell’intollerabilità dell’antisemitismo nel FvD, Baudet avrebbe risposto di non comprendere la ragione di questa “crociata”, perché quasi tutti quelli che conosce sono antisemiti.
Lo scandalo ha infine portato all’ennesima scissione nel partito, con la nascita di JA21, e alle dimissioni dello stesso Baudet, rientrate dopo la sua nuova nomina a leader con il 76% dei voti degli iscritti. Ora i fuoriusciti dal partito dipingono il Forum per la Democrazia come “un movimento settario” guidato da “una sorta di messia”.
Dall’inizio della pandemia, Baudet ha infatti radicalizzato le sue posizioni, sposando una visione paranoica e complottista del mondo. Ha cavalcato la collera dei giovani e dei ristoratori contro il lockdown, ed è stato l’unico politico a organizzare comizi in presenza, non esitando a stringere la mano ai suoi sostenitori.
Baudet, che continua a ribadire la tesi del Covid-19 simile all’influenza e definisce le mascherine “pannolini per la bocca”, ha persino messo in dubbio i dati sulla mortalità forniti dalle autorità sanitarie. Secondo i suoi ex membri del partito, crede che la pandemia sia un piano di George Soros per togliere la libertà e imporre una dominazione mondiale, dopo il tentativo fallito di Hillary Clinton e della sua cricca di pedofili.
A confermare la sua simpatia per la teoria del complotto QAnon, c’è un retweet del settembre scorso in cui promuove il podcast di Large Frans, uno dei più noti influencer olandesi di QAnon. Dopo il Regno Unito e la Germania, l’Olanda è il terzo Paese europeo per diffusione di hashtag correlati al culto complottista, con un totale di affiliati stimati pari a dodicimila. La Utrecht Data School ha rintracciato gli slogan di QAnon anche nelle chat Telegram degli anti-lockdown e della Farmer Defence Force, un’associazione di agricoltori. Una compenetrazione di radicalismi che ha determinato un’escalation delle proteste. Lo scorso agosto, un seguace di QAnon ha pedinato, insultato con l’appellativo di “satanista” e minacciato di “picchiare a morte” un deputato.
Baudet sta insomma importando il trumpismo nei Paesi Bassi, nella retorica – ha soprannominato il tg della televisione pubblica “giornale di fake news” –, nelle spacconate – ha proposto di lanciare una “forza spaziale” olandese per andare sulla Luna –, nella condiscendenza verso la violenza – ha ritwittato l’ex presidente proprio mentre il Campidoglio era sotto assedio –, nella delegittimazione del processo elettorale – ha accennato a possibili frodi nel voto di marzo –, nell’esaltazione delle armi e persino nell’abbigliamento – ha cominciato a indossare un cappellino da baseball.
Nonostante gli scandali, le scissioni, le teorie del complotto sul virus e sul Grande Reset, l’antisemitismo, il razzismo, le ambiguità sul nazismo (ritiene che i processi di Norimberga fossero illegali), l’insensibilità verso le vittime della pandemia (in privato avrebbe detto che tre milioni di morti sarebbero stati un prezzo accettabile pur di salvaguardare la libertà), a marzo Baudet non è andato incontro a una débâcle elettorale, come prospettavano in molti. Ha invece contenuto i danni, raccogliendo il 5%, poco meno dei socialisti, e ha portato in parlamento i suoi fedelissimi, fra cui l’ex autista di Pim Fortuyn, Hans Smolders, lo stesso Freek Jansen e vari candidati con un background di uscite complottiste, come il suo vice Wybren van Haga, e filonaziste.
In questi mesi, il Forum per la Democrazia ha estremizzato a tal punto il dibattito pubblico olandese che ormai Wilders è percepito come un moderato e come un possibile interlocutore per un futuro governo con Rutte. Con la sua campagna paranoica Baudet gli ha rosicchiato voti, aprendosi a un nuovo tipo di elettorato, meno istruito, come i contadini arrabbiati per le leggi ambientaliste, e persino più femminile. Nei gruppi New Age che insistono sul benessere mentale, sui benefici del cibo sano o sul diritto di disporre del proprio corpo, anche contro i vaccini, Baudet è il candidato preferito dalle donne per via della sua opposizione al lockdown, nell’ormai classica fusione tra spiritualità e complottismo (conspirituality).
Metà degli elettori del FvD pensa che la pandemia sia una cospirazione per opprimere i cittadini del mondo e che il virus sia stato creato in laboratorio. Il 54% teme che indossare la mascherina danneggi la salute e il 57% non si vaccinerà contro il Covid-19. Sono numeri quattro volte maggiori che nel resto della società olandese.
«Da almeno quattro anni avverto dei pericoli della disinformazione online, delle filterbubbles e degli algoritmi, perciò sono probabilmente il meno sorpreso dall’esplosione delle teorie del complotto nei Paesi Bassi», mi racconta il giornalista Rudy Bouma di Nieuwsuur. «Tuttavia, mi ha comunque colpito che anche “persone ragionevoli” in contesti sociali simili al mio ne siano state suggestionate. Penso, però, che il pensiero cospirazionista diminuirà, finita la pandemia, perché è un noto effetto collaterale dei periodi di crisi e insicurezza». Fra gli indicatori ottimistici, Bouma cita la fiducia nel mondo dell’informazione e nelle istituzioni, molto alta in Olanda, sebbene siano in crescita gli episodi intimidatori contro i giornalisti.
Per André Krouwel, politologo alla Vrije Universiteit di Amsterdam, le proteste contro il lockdown sono solo il sintomo di una più profonda insoddisfazione della classe media, schiacciata dall’incertezza economica e dalla mutazione culturale delle nuove generazioni. Il modo con cui i partiti anti-sistema, come quello di Baudet, cavalcano il risentimento è la ricetta per una rivolta violenta.
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