QAnon dopo il fallimento della profezia
La presidenza Trump è finita: cosa accadrà ora ai sostenitori del culto complottista? Storia e psicologia suggeriscono che QAnon è qui per restare
Nel 1955 lo psicologo sociale Leon Festinger e due suoi colleghi si infiltrarono in un piccolo culto ufologico di Chicago, i “Cercatori”. Era un’occasione irripetibile per studiare da vicino le ripercussioni psicologiche del fallimento di una profezia religiosa. Secondo la leader del gruppo, Marion Keech, una casalinga ispirata da dottrine teosofiche, il 21 dicembre il mondo sarebbe stato sommerso da un diluvio delle acque, ma una navicella proveniente dal pianeta Clarion avrebbe salvato lei e i suoi seguaci dalla fine. Mentre scoccava la mezzanotte del giorno tanto atteso e l’apocalisse tardava a realizzarsi, sbigottimento e disperazione scossero i credenti. Molti avevano lasciato il lavoro, venduto la casa, salutato le famiglie. Poi la signora Keech disse di aver ricevuto un messaggio telepatico dagli alieni: era stato il fervore delle preghiere del gruppo a risparmiare il mondo dal cataclisma. I presenti si rincuorarono, perché impegno e sacrifici non erano stati vani.
Festinger aveva previsto questi sviluppi. Le sue ipotesi presero corpo nella teoria della dissonanza cognitiva: di fronte a una realtà che contraddice le nostre convinzioni, mentiamo a noi stessi per attenuare il conflitto interno prodotto dalla dissociazione mentale.
Le intuizioni di Festinger sono ancora oggi valide per riflettere sugli scenari futuri di QAnon, ora che il fondamento profetico della teoria del complotto è crollato sotto il peso della realtà. Per gli aderenti al culto cospirazionista, il 20 gennaio, data dell’insediamento di Biden, rappresentava un momento cruciale. Era l’ultima possibilità perché si compisse il miracolo della permanenza di Donald Trump alla Casa Bianca, nonostante la sconfitta alle elezioni di novembre.
Persino pochi minuti prima del giuramento del nuovo presidente, sulle chat di QAnon si gongolava con l’arroganza dei falsi sapienti, pregustando lo sconcerto del pubblico davanti all’arresto improvviso di Biden, della vice Harris e dei democratici dello Stato Profondo, la tentacolare cabala di pedosatanisti nelle istituzioni americane. Ma nella noiosa e prosaica sceneggiatura della realtà il coup de théâtre – o, meglio, il colpo di Stato militare – non era previsto. La presidenza Trump era davvero finita, e Biden era davvero diventato il nuovo comandante in capo degli Stati Uniti.
“Mi sento stupido”, “È il giorno peggiore nella storia americana”, “Sono triste e confusa”, “Ho male allo stomaco”, “Q ci ha mentito”, “Non riesco a credere a quello che sta succedendo”, “Trump ci ha ingannati”. La reazione dei complottisti di QAnon è di avvilimento, umiliazione, frustrazione, rabbia. Lo spaesamento è tale da suscitare malessere fisico. Per mesi sono stati incoraggiati a “fidarsi del piano”, ad attendere la “Tempesta” che avrebbe spazzato i nemici del presidente repubblicano e ad agognare il “Grande Risveglio” delle coscienze, e ora il loro intero sistema di credenze si infrange contro lo scoglio inscalfibile dei fatti.
Per molti è senza dubbio un punto di non ritorno. È il preludio a un’irreversibile crisi della fede e a una mesta ritirata nella grigia mediocrità della normalità, dove non si è né eroi – “soldati digitali” – né depositari di conoscenze segrete. Per i più fragili, tuttavia, l’impatto emotivo è insopportabile: sul forum QAnoncasualties un figlio riporta la notizia straziante del suicidio della madre, annegatasi in piscina.
Molti altri, invece, riusciranno a convivere con il fallimento della profezia e a superarlo, scendendo a compromessi con la realtà.
Rielaborare il fallimento della profezia riducendo la dissonanza cognitiva
Non erano trascorse nemmeno due ore dal giuramento di Biden che già, nelle menti dei seguaci di QAnon, erano all’opera i ferrei meccanismi psicologici della dissonanza cognitiva. Per descriverli il giornalista del Daily Beast Will Sommer ricorre all’efficace metafora dei pionieri del West che dispongono i carri in cerchio per respingere un attacco degli indiani. Una manovra difensiva che, per i cospirazionisti di Q, è però ormai collaudata dall’abitudine a confrontarsi con predizioni fallaci.
Per il 17 ottobre 2020, ad esempio, i membri del culto trumpista si aspettavano il ritorno portentoso di John F. Kennedy Jr., il figlio di JFK morto in un incidente aereo nel luglio del 1999. Sopravvissuto al tentativo di omicidio da parte dello Stato Profondo e rimasto nell’ombra per oltre un ventennio, si sarebbe infine ripresentato a un comizio di Trump per affiancarlo nel ticket presidenziale.
Secondo Travis View, esperto di complottismo e coautore di un podcast su QAnon, l’apparizione di Kennedy Jr. rispondeva a un’implicita esigenza letteraria, il tropo del figlio che ricompare dal nulla per vendicare la morte del padre. In questo modo, si sarebbe anche potuto retrodatare l’inizio delle trame del Deep State al traumatico assassinio di JFK nel 1963, vera pietra miliare nella storia delle teorie del complotto americane nel Novecento.
Quella su Kennedy Jr. è però solo una delle tante previsioni non azzeccate dal misterioso Q, l’anonimo insider nell’intelligence o nell’esercito che, dal 28 ottobre 2017, posta sulle bacheche di 4chan e 8chan enigmatici versetti sulla lotta sotterranea fra Trump e la cricca di divoratori del sangue di bambini. Aveva pronosticato l’arresto di Hillary Clinton, la pubblicazione di centomila accuse contro i traditori della nazione, la deportazione a Guantanamo dell’élite pedosatanista, ma nulla si è mai verificato.
Cionondimeno, per i seguaci di QAnon non è mai stato un problema ignorarne le incongruenze. Torna utile l’osservazione di Jonathan Skinner, che, attingendo agli studi antropologici di Gluckman ed Evans-Pritchard, paragona la mentalità complottista alla credenza nella stregoneria.
«La difficoltà di distruggere la credenza nella stregoneria – scrive il sociologo - ripone nel fatto che forma un sistema capace di assorbire e spiegare molti fallimenti e segni in apparenza contradditori».
Se un guerriero zulu viene mortalmente ferito dal proiettile di un soldato inglese, nonostante i canti propiziatori e gli amuleti magici per l’invulnerabilità, la credenza nella stregoneria non viene pregiudicata. Si formula piuttosto “un’elaborazione secondaria” per giustificare il fallimento dei riti sciamanici, ad esempio l’intromissione dello stregone di un villaggio rivale. Le informazioni che potrebbero compromettere il sistema di credenza vengono perciò incorporate al suo interno per disinnescarne la pericolosità.
E così vediamo i complottisti di QAnon giustificare il mancato ritorno di Kennedy Jr. con “un’elaborazione secondaria”, per usare il lessico antropologico, o una strategia di “razionalizzazione”, con terminologia psicologica, scaricando sui presunti cospiratori la colpa del fallimento. L’errata profezia sul figlio dell’ex presidente riacquista, quindi, di senso se assume anch’essa i contorni del complotto, se si tramuta in un disegno machiavellico del nemico per screditare i soldati digitali di Trump.
A poche ore dall’insediamento dell’amministrazione Biden, prende invece subito piede una seconda strategia di razionalizzazione. Invece di accusare il mondo esterno, i seguaci del culto si rivolgono a sé stessi e compiono una sottile operazione di autocritica: non era la profezia ad essere sbagliata, ma la sua interpretazione. Tutto si riduce a un errore umano. Il sistema di credenza viene così salvaguardato, ed è allora sufficiente un riesame dell’ermeneutica complottista.
La nuova ipotesi più accreditata è che tutta la cerimonia di insediamento sia stata una farsa. Se ne sviscerano i dettagli più insignificanti, dalle mostrine sulle divise dei militari al numero di cannonate a salve sparate in segno di omaggio, e se ne conclude che Biden non abbia giurato sulla Costituzione e non sia dunque il presidente legittimo. Per rielaborare la disfatta, infatti, i sostenitori di QAnon prendono in prestito una teoria del movimento estremista dei cittadini sovrani, secondo cui la Repubblica americana ha cessato di esistere nel 1871, quando una legge ha trasformato gli Stati Uniti in una società di proprietà della City di Londra. Biden sarebbe solamente il capo della corporation, mentre Trump resterebbe il presidente legale della Repubblica, pronto a rivendicarne la guida il 4 marzo, ultima data individuata per il compimento finale della profezia.
Questa strategia di razionalizzazione, incentrata sull’errore umano nella decodificazione della profezia, è tipica dei movimenti religiosi millenaristi. Nel 1966 i leader spirituali dei Testimoni di Geova indicarono nel 1975 il termine della storia umana e l’inizio del nuovo millennio, sulla base di un calcolo della cronologia biblica. Ma, quando il 1975 passò inosservato, il corpo direttivo addossò incredibilmente la responsabilità della disillusione sui fedeli, colpevoli di non aver interpretato correttamente le pubblicazioni ufficiali del credo, come racconta James Penton nel più importante saggio storico sui Testimoni di Geova, L’apocalisse rinviata.
Una terza modalità di razionalizzazione – spiegano il ricercatore Marc-André Argentino e il professor Amarnath Amarasingam – è la spiritualizzazione, ovvero si riconduce la profezia non alla realtà terrena, visibile, ma alla dimensione dell’invisibile, al regno spirituale. Il precedente più clamoroso nella Storia americana è quello dei milleriti, i millenaristi di William Miller, un predicatore battista di New York che, dopo uno studio del libro di Daniele, collocò la seconda venuta di Gesù Cristo tra il 21 marzo 1843 e il 21 marzo 1844. Trascorso un intero anno senza eventi degni di nota, la data dell’avvento fu posticipata per due volte. Si potrebbe pensare che ben tre profezie fallaci abbiano scoraggiato i seguaci di Miller, eppure alcuni credenti riuscirono a razionalizzare la “Grande Delusione”, spiritualizzando la profezia, che venne trasposta su un piano celeste inconoscibile dall’uomo, in un santuario del paradiso purificato da Gesù. Da quel nucleo si è poi sviluppata la Chiesa Avventista del Settimo Giorno, che oggi conta tra i venti e i venticinque milioni di fedeli.
C’è infine un’ultima strategia di razionalizzazione, la sacralizzazione. Il testo di riferimento del gruppo è elevato a strumento di espressione del divino: le profezie non sono dunque rivelazioni letterali, ma prove di fede. Fra i ranghi di QAnon se ne colgono da mesi i segnali. Dall’inizio del 2020 officia messa su Zoom e Youtube una chiesa di QAnon, chiamata Ministero del Regno Omega e iscritta a una rete di congregazioni protestanti indipendenti. La liturgia fonde la lettura della Bibbia con quella dei versetti di Q, in un calderone di teologia dominionista e complottismo apocalittico. La scorsa primavera i leader della chiesa hanno proclamato di scindersi dalla chiesa dello Stato Profondo, che sarebbe invece devota alla divinità luciferina Ba’al.
Se accostiamo la spiritualizzazione e la sacralizzazione alle altre due strategie per la riduzione della dissonanza cognitiva dinanzi al fiasco di una profezia, cioè la riaffermazione – l’esaltazione del valore del gruppo, della sua imprescindibile funzione di comunità aggregante e di conforto reciproco, a prescindere dai fallimenti – e il proselitismo – il raddoppio degli sforzi propagandistici per controbilanciare la delusione e lo strapotere del male –, capiamo perché la trasformazione in un vero e proprio movimento religioso è uno dei possibili sbocchi di QAnon.
I più pronti per questo passaggio – fa notare Argentino – sono i seguaci evangelici di Q, che hanno familiarità con la sintassi profetica della Bibbia e con visioni apocalittiche e millenariste. L’addio di Trump, figura ormai quasi canonizzata da parte della destra cristiana americana, anticiperebbe la terribile apparizione dell’Anticristo, prevista dalle scritture, ma combacerebbe anche con la promessa del suo ritorno messianico.
Esistono, dunque, tutti i presupposti perché una parte degli adepti di QAnon superi la fase della dissonanza cognitiva e rinnovi la fiducia nel piano come se nulla fosse mai accaduto, e – in contemporanea o in alternativa – perché un’altra parte prosegua addirittura con maggiore zelo, innalzando la teoria del complotto sull’altare della religione. Non c’è da stupirsi. «L’essenza di credenze cospirazioniste come QAnon», scrive Argentino, «consiste nel tentativo di delineare e spiegare il male. Riguarda la teodicea, non l’evidenza secolare». Finché ci sarà il male, ci sarà sempre qualcuno pronto a giustificarne la presenza nel mondo inserendolo nella cornice trascendentale dell’eterna battaglia fra Dio e Satana.
Crisi di fede
Se il ritorno alla vita normale è praticabile solo per chi non ha investito troppe energie (emozionali, sociali, ma anche finanziarie) nella profezia e l’autolesionismo è invece l’abisso in cui rischia di precipitare chi non ha adeguate risorse cognitive per metabolizzare il trauma, due cupe strade, entrambe pericolose per la collettività, possono essere altrettante vie d’uscita per gli scontenti che sperimentano una crisi di fede.
Una minoranza, delusa dai fallimenti di QAnon, potrebbe decidere di scindersene per aderire a gruppi ideologicamente affini, ma ritenuti più strutturati per continuare la lotta contro i cospiratori anti-Trump. Nelle correnti del nazionalismo e del suprematismo bianco in America è ben chiara la consapevolezza che le schiere in rotta dei seguaci di Q costituiscano un enorme bacino di reclutamento.
D’altronde, QAnon e l’estrema destra statunitense parlano la stessa lingua e perseguono i medesimi fini, seppur con tattiche diverse. Il messaggio antisemita dei gruppi d’odio non dovrebbe, ad esempio, faticare a far breccia fra gli adepti della teoria del complotto trumpista. Che cos’è, in fondo, QAnon, se non una rivisitazione moderna delle cronache medievali antigiudaiche, imperniate sulla falsa accusa che gli ebrei europei sacrificassero bambini cristiani nei lori riti?
Steve Bannon, l’ex consigliere di Donald Trump, è stato uno dei primi a fiutare l’opportunità di fare entrismo in QAnon. Dopo aver abbracciato la teoria del complotto nello scorso ottobre, affermando che «sembrasse quanto meno andare nella giusta direzione», l’ha sconfessata all’indomani del giuramento di Biden. QAnon è «una cyberoperazione psicologica» promossa dall’Fbi, ha scritto nella sua newsletter, Populist Press, del 22 gennaio, ribadendo poi la tesi anche nello streaming del suo podcast, War Room. Bannon dimostra così di padroneggiare la psicologia cospirazionista: trasformando a sua volta QAnon in un complotto, razionalizza la disillusione dei suoi sostenitori senza, tuttavia, colpevolizzarli, e si candida a raccoglierne il testimone.
Anche Bill Still, conduttore di uno show conservatore su Youtube con più di centomila iscritti sul canale, si è lanciato nella controargomentazione di QAnon come complotto dello Stato Profondo, nonostante avesse lui stesso contribuito a diffonderla: «QAnon è stata un’operazione psicologica di ispirazione russa. Lo scopo era neutralizzare la protesta pubblica dei supporter di Trump creando la falsa impressione che un gruppo segreto di potenti ufficiali dell’intelligence militare avesse capito tutto e avesse il controllo della situazione».
Appare insomma evidente quanto, nell’estrema destra americana, QAnon fosse considerata una temibile narrazione concorrenziale, se non persino una distrazione di massa da obiettivi politici più concreti.
Questo è ancora più vero per guru del complottismo come Alex Jones e David Icke, che sulla paranoia politica hanno costruito ingenti fortune economiche e che, probabilmente, faticavano ad accettare di essere stati scalzati dal centro della scena a causa di una teoria del complotto open source. Jones ha accusato la Cia di aver condotto una campagna di disinformazione e ha brutalmente richiamato alla ragione – si fa per dire – i seguaci di QAnon («vi hanno fregato, coglioni»), invitandoli ovviamente a seguire lui e soltanto lui. E, nelle chat della teoria del complotto, lo scenario tratteggiato da Jones è subito diventato oggetto di discussione. Anche David Icke si è unito al coro dei detrattori di QAnon, condannandola come operazione psicologica dell’intelligence americana.
Non bisogna, infine, scartare l’eventualità che i membri più fanatici di QAnon reagiscano al fallimento della profezia convincendosi che non esista una soluzione pacifica e politica al complotto dello Stato Profondo e che l’unica opzione rimasta sia, perciò, la violenza. L’assalto del 6 gennaio al Campidoglio, cui hanno partecipato diversi seguaci di Q, potrebbe essere solo l’anticipazione di una svolta armata della teoria complottista, sull’esempio dei movimenti chiliastici rivoluzionari che hanno sconquassato l’Europa tardomedievale e rinascimentale.
L’attesa passiva del “Grande Risveglio” millenarista verrebbe dunque accantonata in favore di un ruolo attivo nell’avveramento della profezia, e gli adepti del culto si organizzerebbero per essere agenti dell’apocalisse. QAnon assomiglierebbe così alle inquietanti sette del catastrofismo apocalittico, come i Davidiani o la giapponese Aum Shinrikyo.
I simpatizzanti di QAnon negli Stati Uniti sono più di sei milioni: sarebbe sufficiente che solo una minuscola percentuale di essi si convertisse alla violenza per farne una minaccia all’incolumità pubblica.
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